Italia al voto. Il mercato fa spallucce

Elezioni

A poche ore dalla chiamata alle urne, il partito di maggioranza relativa (quello dell’astensione, dell’indecisione, del voto cinofallico…) non accenna a ridimensionarsi. Finisse così, la signora Nulla e il signor Scarabocchio si contenderebbero il governo dell’Italia.

Eppure, i mercati finanziari domestici appaiono quieti. Hanno imparato la lezione del passato e non cedono al pessimismo, così dicono. La maggior parte degli investitori europei, interpellati da Sentix, si aspetta soltanto ripercussioni marginali dalle elezioni sul mercato azionario e sull’euro.

Si direbbe che l’impatto maggiore dovrebbe manifestarsi sul mercato obbligazionario, per via della presenza di orientamenti demagogici, che promettono inflazione scambiata per maggiore potere d’acquisto. E di riflesso sull’oro, che beneficerebbe di questa maggiore instabilità. Ma si tratta di disturbi contenuti, di limitato impatto.

Non possiamo nascondere invece il nostro nervosismo. Prima degli appuntamenti elettorali degli ultimi tre anni gli investitori hanno manifestato nervosismo nei confronti dell’economia europea più vulnerabile: che notoriamente è l’Italia, too big to fail, non certo quella greca, protetta dall’assistenza europea e che, fra l’altro, ieri ha ostentato il PMI manifatturiero più elevato degli ultimi 17 anni e mezzo.

Così, lo spread fra Italia e Germania è salito vistosamente prima del referendum con cui gli stessi greci erano chiamati ad approvare il piano di salvataggio della troika. E’ salito prima della recessione nominale sperimentata a cavallo fra il 2015 e il 2016 e si è impennato in concomitanza con il clamoroso referendum britannico di giugno 2016.

Ancora: è balzato a fine 2016 quando dalle urne americane è uscito a sorpresa il nome di Trump e pochi giorni dopo quando gli italiani hanno rigettato il referendum istituzionale confermativo. Infine si è spinto oltre i 200 punti base prima delle elezioni francesi.

In tutti i casi, le ansie e i timori degli investitori hanno provocato un aumento dello spread. Una opportunità di acquisto, certo, a posteriori. Ma in quel momento, chi poteva negare i timori per la disgregazione dell’Euro, per la svalutazione della Cina, per le incertezze derivanti dalla elezione di un “parvenu” della politica, per la possibilità di aprire le porte dell’Eliseo a una neofascista?

Nulla di tutto ciò impensierisce oggi gli investitori. Lo spread si è quasi dimezzato in un anno, muovendosi ordinatamente all’interno di un canale inclinato verso il basso. Certo la Germania ci mette del suo, mentre la tendenza generale dei tassi di interesse è globalmente verso l’alto. Ma davvero ci vogliono far credere che l’Italia sia diventata una prova di virtuosismo?

Proprio così, minimizzano le banche d’investimento. Qualche giorno fa ad esempio Citi invitava gli investitori a dormire sereni la notte: tanto, ci sarà tempo per riparlarne, dopo le elezioni…

Come dire: inutile fasciarci la testa prima di essercela rotta.

Il problema è che i mercati prezzano la perfezione. I livelli raggiunti dai Credit Default Swap a 5 anni – sotto i 100 punti base in Italia – dagli spread creditizi, e dallo stesso mercato azionario inducono a qualche riflessione: le migliori sorprese benigne sono state in buona misura già prezzate; spazio per delusioni non ce n’é.

Sarà bene tenerlo a mente, perché un listino fragile come il nostro, strutturalmente sotto-performante, vive di un contesto sereno. Il NBER calcola un indice di incertezza economico-politica, anche per l’Italia. Non a sorpresa, il dato vanta una evidente correlazione inversa con l’andamento dell’indice MIB.

Insomma, quando l’incertezza nella politica economica del nostro paese si riduce, Piazza Affari sale, quando l’incertezza monta il mercato paga pegno.

E questo incomincia ad essere un problema poiché, come si può notare, mentre il MIB si colloca non lontano dai massimi, il PUI è da alcuni mesi in ripiegamento.

Dovessero le incertezze elettorali venire meno, la borsa italiana si troverebbe nella giusta posizione ma non ne beneficerebbe più di tanto. Dovessero dalle urne emergere sorprese poco piacevoli, la crescita dell’incertezza misurata da settembre in poi rischierebbe di essere pagata.

L’idea è che in questa fase convenga di più badare alla tenuta dei supporti, che non alla eventualità che le resistenze siano alfine superate. Quantomeno, il contenimento degli spread consente una copertura agevole e a buon mercato.

Tanto, per cambiare idea si fa sempre in tempo.