Bolle di fumo

È il momento dei titoli legati alla cannabis. Dal Canada agli Stati Uniti è un’esplosione di collocamenti, fondi di private equity dedicati, Etf passivi e fondi attivi. Ed esplodono soprattutto i corsi (e ora anche la volatilità), con la società lanciata dall’unico magnate repubblicano di Silicon Valley, Peter Thiel, che in tre mesi ha più che decuplicato il suo valore e che con vendite 2018 di 42 milioni vale già 20 miliardi.

Tradizionalmente coltivata nella regione degli Appalachi, selvaggia nel paesaggio e gotica nello spirito, come complemento di reddito della distillazione clandestina di alcolici per i discendenti degli scozzesi-irlandesi presbiteriani dell’Ulster rifugiatisi qui due secoli fa, la cannabis è oggi prodotta in molte aree del Nord America e si è rapidamente industrializzata e finanziarizzata. Ha attratto talenti e smart money, spesso dagli stessi capitalisti di ventura che hanno finanziato l’alta tecnologia e il biotech. C’è dunque molta professionalità manageriale e c’è anche una domanda potenziale elevata lungo le due direttrici dell’uso medico e di quello ricreativo. Sul piano medico, in particolare, ci sono i milioni di disoccupati creati dalla crisi del 2008 ai quali sono stati prescritti su vasta scala oppiacei al primo mal di schiena o raffreddore e che hanno sviluppato forme gravi di dipendenza, una delle pagine più buie della storia della pratica medica del nostro tempo. La cannabis, sperano i suoi sostenitori, verrà usata su altrettanto larga scala nei programmi di disintossicazione, come il metadone per l’eroina.

Sul tema della cannabis sono migrati capitali, energie e interesse anche dall’universo febbrile delle criptovalute, oggi in una fase di riflusso e bear market che ricorda il dopo bolla del mondo legato a Internet nei primi anni Duemila. E proprio le storie incrociate delle cripto e della cannabis ci danno lo spunto per tornare sul tema degli investimenti tematici.

Ci torniamo anche e soprattutto perché li sentiamo evocare con crescente frequenza dal sell side dell’industria finanziaria e perché questa frequenza è, storicamente, un ottimo indicatore di ciclo borsistico maturo. Non c’è necessariamente una particolare malizia nel consulente che propone un tema. Generalmente ci si arriva per esclusione, quando cioè, setacciati uno per uno i settori tradizionali e le aree geografiche e constatato che sono tutti cari o quasi arrivati, si lancia il cuore oltre la prossima recessione e ci si proietta su temi secolari che, oggi relativamente marginali o trascurati, acquisiranno centralità nel medio e lungo termine.

Negli occhi di chi vende e di compra questi temi c’è insomma l’idea che, anche se si dovesse sbagliare il timing, un eventuale ribasso successivo all’acquisto non sarà da vivere con l’ansia di chi pensa di avere buttato via soldi, ma con la fede paziente e salda di chi sa di essere dal lato giusto della storia.

Intendiamoci, l’investire per temi è spesso razionale e remunerativo. I temi, inoltre, sono sempre presenti nel mercato in qualsiasi fase del ciclo. Il campanello d’allarme suona solo quando i temi diventano lo stile prevalente o addirittura esclusivo nelle scelte di portafoglio, estremo rifugio di chi non ha più fiducia nel mercato in generale.

I temi, d’altra parte, sono sì secolari nel mondo reale, ma sono soggetti a mode nella rappresentazione che i mercati si fanno della realtà. Si guardi al caso dei titoli delle società che estraggono litio e cobalto, due componenti essenziali delle batterie che faranno muovere le auto elettriche nei prossimi, come minimo, 30-40 anni. Questi titoli hanno avuto un ottimo rialzo del 2016 e nel 2017, quando si è capito che la Cina si sarebbe riconvertita totalmente all’elettrico in tempi brevi, ma quest’anno, pur in presenza di un rialzo degli indici americani, hanno continuato a scendere.

Insomma, i temi vanno giocati o come moda (e quindi sul momentum, ma bisogna essere bravi e veloci) o come fenomeno reale secolare. In questo secondo caso nulla obbliga a comperare tutto subito e si possono aspettare i bear market e le recessioni. Questo vale in particolare per quei temi che scaldano meno i cuori, come la progressiva diffusione del diabete o la crescente domanda di pannoloni per gli anziani. Temi che sono solidi long seller come i manuali di sanscrito o di bricolage della Hoepli, mai in cima alle classifiche, ma piccole miniere d’oro nel corso dei decenni.

D’altra parte, nulla vieta, anzi, di considerare un tema quando, accanto alla crescita, incorpora anche valore. È forse questo il caso, in questo momento, dei mercati emergenti? Ricordiamo che gli emergenti sono un perfetto esempio di tema secolare long seller. Con i loro tassi di crescita tipicamente doppi rispetto ai mercati maturi e con la loro demografia giovane dovrebbero garantire nel tempo ritorni più alti. In più, sia come valute sia come equity, si trovano oggi a prezzi molto più bassi rispetto all’inizio del 2018.

In gennaio, del resto, si pensava che gli emergenti avrebbero tratto grandi benefici, come tutto il resto del mondo, dall’accelerazione dell’economia americana dovuta alla riforma fiscale. Non si considerava che quella stessa accelerazione avrebbe indotto la Fed a una posizione meno accomodante e avrebbe così spinto in alto il dollaro (che a inizio anno quasi tutti davano ancora debole). I tassi sono dunque saliti e il dollaro si è rafforzato. I capitali caldi internazionali investiti negli emergenti sono tornati a casa e molti di questi paesi si sono riscoperti un’altra volta troppo indebitati in dollari sempre più cari. I mercati, che avevano tollerato e finanziato per anni o decenni i loro disavanzi delle partite correnti, sono improvvisamente diventati nervosi e hanno preso a chiedere aggiustamenti sempre più radicali e veloci.

Questi aggiustamenti sono in effetti già iniziati. Turchia e Argentina sono già in recessione e hanno monete sottovalutate. Il disavanzo delle partite correnti si chiuderà in fretta, ma questa cura violenta si lascerà dietro banche da salvare, ristrutturazioni del debito, malessere sociale e instabilità politica. Al momento i due paesi sono riusciti a stabilizzare la situazione, ma la ripresa non è vicina e sulla Turchia pende ancora la spade di Damocle di Trump e delle sue sanzioni.

Le sanzioni, presenti e future, tengono sotto pressione anche la Russia, che per il resto sarebbe una buona occasione d’acquisto. Il quadro macroeconomico russo è stato definito buono e molto ben gestito dal Fondo Monetario nel suo recente rapporto annuale, le banche sono controllate con mano ferma e non hanno scheletri nell’armadio e la crescita non è forte ma è stabile.

La politica è un problema anche per il Brasile, un paese diviso che potrebbe imboccare strade radicali, inclusa, sullo sfondo, l’ipotesi di un ritorno al potere dei militari in caso di ulteriore prolungata instabilità.

Per il momento, quindi, restano l’India e, in misura minore, la Cina, come paesi da considerare per un investimento in tempi brevi. L’India non ha nessun nuovo problema rispetto a inizio anno e si è semplicemente scrollata di dosso la sopravvalutazione della rupia e della borsa create dall’eccesso di entusiasmo degli investitori internazionali. Ora la situazione è equilibrata e quindi interessante.

La Cina, dal canto suo, ha capito perfettamente che il quadro è cambiato e che la guerra fredda economica con l’America durerà molto a lungo. Una nuova strategia generale è in fase di elaborazione, c’è consapevolezza che il divorzio delle filiere produttive americana e cinese caratterizzerà i prossimi anni ma non c’è segno di panico. È come se la Cina sapesse da tempo che l’America prima o poi si sarebbe svegliata e che la festa sarebbe finita. Ora ci si concentrerà sulla stabilizzazione del cambio e della borsa. Della ripresa dell’azionario ci si occuperà più avanti, al momento ci sono altre priorità.

Venendo al breve, pensiamo che il sogno di Trump (oltra a Kavanaugh alla Corte Suprema) sia di potere annunciare l’S&P a 3000 prima delle elezioni. Non sappiamo se il sogno si realizzerà, ma è verosimile che nelle prossime settimane verrà fatto di tutto per recuperare un dialogo con i cinesi e con l’Europa, due cose che ai mercati farebbero sicuramente piacere. Borse europee ed euro in graduale e condiviso miglioramento.