Cad It, più che un’Opa una “Opina”

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Lunedì 19 febbraio è stato comunicato al mercato che sul titolo Cad It gli attuali azionisti di maggioranza faranno un’offerta pubblica di acquisto con l’obiettivo di rastrellare il flottante e procedere al delisting.

Prezzo offerto: 5,30 euro per azione per un esborso complessivo, in caso di adesione totalitaria, di 40,8 milioni. Le famiglie oggi azioniste di maggioranza relativa costituiranno, secondo quanto dichiarato, una holding che aumenterà il capitale con il conferimento della totalità delle azioni Cad It di cui sono proprietarie Giulia Del Cortivo Liliana Lanza e, ad esito del conferimento, la holding sarà detenuta per il 38,5% da Paolo del Cortivo, per un altro 38,5% da Giulia Del Cortivo e da Lanza per il 28,9%.

Per finanziare questa offerta pubblica di acquisto chi lancia l’Opa farà ricorso a un prestito obbligazionario non convertibile, sottoscritto dai fondi gestiti da Magnetar Capital, un hedge fund basato negli Stati Uniti.

Il corrispettivo dell’offerta incorpora un premio dell’8,2% rispetto al prezzo ufficiale unitario di chiusura delle azioni registrato nell’ultimo giorno di negoziazione di venerdì 16 febbraio.

Raccontata così la proposta può sembrare generosa e chi detiene il titolo felice di disfarsene per portare a casa una simpatica plusvalenza. Ma ci può essere un altro modo di vedere queste offerte di delisting sul mercato azionario italiano, vale a dire valutare se il prezzo offerto è corretto e se gli azionisti di minoranza vengono “liquidati” al giusto prezzo.

Purtroppo, così non pare (si tratta di un’opinione personale di chi scrive). Anche perché un’azionista di minoranza di Cad It potrebbe aver acquistato il titolo non nelle due settimane passate, ma diversi anni fa sulla base di una valutazione fondamentale della società e sull’assunto che nel medio-lungo periodo il prezzo in Borsa si sarebbe adeguato a un valore intrinseco più alto. E se si guarda all’andamento grafico del titolo si scopre che chi, nel lontano ottobre 2000, aderì al collocamento a 45 euro, oggi se accetterà di aderire all’Opa uscirà con una perdita notevole.

 

Del resto, con l’offerta pubblica di acquisto, l’azionista di minoranza si trova spesso nella situazione di dover dire a se stesso “prendere o lasciare”, ovvero rischi che se l’Opa ha successo e la società viene delistata i tuoi titoli diventano illiquidi e l’unico potenziale compratore resta teoricamente solo l’azionista di maggioranza.

Ed è questa una delle ragioni per cui conviene ragionare sulle strategie d’investimento basandosi non solo sui fondamentali ma anche sull’analisi quantitativa e il momentum, per non restare intrappolati in società “sottovalutate” ma ritirate per pochi dal mercato.

Peraltro Cad It non è certo un caso clamoroso, basti pensare all’Opa tentata dal gruppo Caltagirone su Caltagirone Editore per un’offerta che poi non ha trovato consensi tra gli azionisti di minoranza (il numero di adesioni è stato inferiore all’obiettivo minimo), nonostante un modestissimo rilancio. Così la “lotta” fra azionisti di maggioranza e di minoranza (fra cui alcuni fondi e investitori anche istituzionali) nel caso di Caltagirone Editore non è finita.

Cosa fa Cad It? Si occupa di information technology e fornisce software e servizi ad aziende di elevato standing in tutto il mercato europeo e soprattutto a banche, assicurazioni, fondi, brokers, fornitori di servizi in outsourcing, enti pubblici e imprese.

In pratica Cad It gestisce ampie quote del mercato italiano delle banche. Inoltre tutte le nuove norme regolatorie, ad esempio i principi contabili IFRS9 o la Mifid2 o i Pir, sono un volano eccezionale per offrire integrazioni e nuovi applicative software. Inoltre dispone dei know how per una crescita potenziale anche all’estero.

Perché il prezzo proposto non sembra fair? Vediamo cosa dice ad esempio Emanuele Oggioni, analista finanziario presso Hammer Partners, società svizzera specializzata nelle ricerca fondamentale su società quotate. “A 5,30 euro la società viene valutata – osserva Oggioni – solo 5 circa volte il rapporto EV/EBITDA 18E con un P/CF (cash flow ovvero utili più ammortamenti) di 5x, un FCF yield (dopo gli investimenti) del 10% e un dividend yield sostenibile maggiore del 4% annuo, avendo la società una posizione finanziaria positiva che potrebbe salire nel 2018 a circa 4 milioni di euro”.

Precisiamo che per Ev si intende la capitalizzazione borsisistica meno l’indebitamento netto mentre per Ebitda si intende l’utile prima di tasse, svalutazioni e ammortamenti. Ma i veri multipli sono ancora più ghiotti in quanto il mercato non considera il valore di libro (e di mercato, ancora più alto) del patrimonio immobiliare detenuto CAD IT. La società ha cassa netta e un immobile del valore di metà della mkt cap prima del de-listing!

E usando il valore più conservativo, ossia quello iscritto nel bilancio, ed ipotizzando un canone di affitto, in realtà il vero EV/EBITDA è meno di 4x volte. Valori a netto sconto rispetto ai competitor del settore e al segmento delle small cap italiane.

Per fare dei confronti nel settore dell’IT questi multipli sono più vicini a 10 che a 5 e simili ragionamenti si possono fare anche se si prendono a confronto i valori mediani delle società del segmento small cap.

Nel recente passato l’ad di CAD IT Paolo Dal Cortivo ha sempre sostenuto che il fatto che la società fosse quotata era un elemento strategico di visibilità e affidabilità percepita presso i clienti. Viene spontaneo domandarsi: come mai in pochi mesi è cambiata la posizione?

Anche perché CAD IT sembra presentarsi sul fronte del business avendo vissuto (finalmente) un anno molto generoso, dopo la buona crescita della redditività del 2017, dove nei primi 9 mesi 2017 l’Ebitda è salito del 22% a 6,8 milioni di euro, grazie all’integrazione delle licenze software e a un quadro regolatorio che costringe le banche a tenere sempre aperto il cantiere dell’Information Technology e a dirottarci sempre nuove risorse.

Il business di CAD IT beneficia del cambio di regolamentazione che porta a vendere più licenze che hanno margini elevati rispetto ai servizi. Inoltre le quattro famiglie che controllano la società hanno dichiarato di essere interessate a muoversi in modo più attivo sul fronte delle fusioni e acquisizioni per espandersi fuori dall’Italia e soprattutto in Spagna (dove contano la presenza più significativa), Germania e Svizzera.

“Per trasparenza sarebbe interessante sapere – scrive ancora Emanuele Oggioni di Hammer Partners – tutte le condizioni a cui il fondo Usa sottoscrive il prestito per finanziare l’Opa e il suo ruolo in questa operazione. E peraltro, nel prezzo offerto di 5,3 euro, non si fa menzione se prima verrà pagato il dividendo e non sarebbe propriamente corretto non remunerare gli azionisti di minoranza visto che il dividend yield pre-annuncio era sopra il 5%”.

Va detto sugli gli azionisti di maggioranza che ora vogliono lanciare un’Opa sul titolo che, nonostante la grancassa dei PIR, i gestori italiani su questa società non hanno mai particolarmente creduto nonostante fosse un titolo con caratteristiche molto interessanti e sicuramente sottovalutato dal punto di vista dei fondamentali. Forse, il fatto che in Borsa il titolo sia abbastanza illiquido e poco trattato (meno di 12.000 le azioni trattate mediamente giornalmente) può aver convinto a ritirare il titolo dal listino.

Il prezzo offerto però non convince. E sarà curioso vedere come si comporteranno alcuni azionisti di vecchia data fra gli investitori istituzionali (Xchanging UK, Lazard Freres Gestion) e perché dovrebbero aderire. Nel caso di Xchanging si tratta di una società multinazionale del settore IT del settore bancario basata in Germania che era entrata per la prima volta nel capitale nel 2005 (il 2,5% a 10,7 euro) con il titolo a un prezzo doppio rispetto a quello ora offerto.