Canada, tra barili e cannabis

Un tempo non lontano, i meeting internazionali tra le grandi potenze erano un’occasione per stringere accordi e giungere a compromessi mentre oggi sembrano diventati una vetrina dove mostrare i muscoli e alzare i toni degli scontri. È ciò che è accaduto a Charlevoix in Canada, in occasione del G7 tenutosi ad inizio giugno che ha visto un inasprimento delle tensioni commerciali tra i paesi nordamericani. In conferenza stampa il premier canadese ha criticato i dazi statunitensi su acciaio e alluminio ritenendo offensivi i motivi di sicurezza con cui la Casa Bianca ha giustificato la decisione. Queste affermazioni hanno scatenato l’ira di Trump che oltre a non firmare il comunicato finale del summit è sempre più deciso a rinegoziare l’accordo di libero scambio Nafta (che vede coinvolti USA, Canada e Messico).

Per il Canada non si tratta di un litigio di poco conto dal momento che il 74% delle sue esportazioni hanno come destinazione il vicino di casa statunitense. Il paese continua a crescere ma a ritmo meno sostenuto rispetto allo scorso anno e la ripresa dei consumi interni potrebbe non essere sufficiente ad invertire il trend. Contrariamente alle attese degli analisti la banca centrale canadese ha deciso di non ritoccare i tassi d’interesse seguendo una linea più dovish rispetto alla Fed, in modo da non gravare sul percorso di normalizzazione del mercato immobiliare e per non mettere in difficoltà il settore finanziario che deve fare i conti con un mostruoso livello di indebitamento privato (267% del Pil a fine 2017).

Ma il mercato azionario canadese sembra infischiarsene di tutte queste considerazioni. La variabile che continua a influenzare maggiormente le fluttuazioni dell’MSCI Canada è il prezzo del petrolio. Nonostante l’OPEC abbia deciso, insieme al suo alleato russo, di aumentare la produzione di circa 1 milione di barili al giorno, l’imprevista interruzione di un importante impianto canadese potrebbe diminuire l’efficacia dell’accordo e mantenere alti i prezzi del greggio. Il peso dell’industria energetica all’interno dell’indice è pari al 21%, ma la sua influenza sull’intera economia nazionale è decisamente più significativa. Per questo motivo le quotazioni si sono riportate sui massimi di inizio anno e si avviano a infrangere la barriera dei 2100 punti. Se dovessimo basarci su una valutazione esclusivamente tecnica, questo movimento rappresenta un’indicazione estremamente positiva per il futuro.

Un elemento che potrebbe aiutare il mercato azionario a mantenere un mood costruttivo, non perché altera le capacità degli investitori ma perché potrebbe attrarre capitali esteri, è la cannabis. Il parlamento canadese è stato infatti il primo del G7 e il secondo a livello mondiale (dopo l’Uruguay) ad approvare una legge per legalizzare la commercializzazione e il consumo della marijuana per uso ricreativo.

Si tratta però di un aiuto modesto che non deve far distogliere l’attenzione dalle criticità latenti e soprattutto dalla variabile più significativa: il prezzo dell’oro nero.

MSCI Canada

La strada più efficace ed efficiente per inserire all’interno del proprio portafoglio un’esposizione al mercato azionario canadese è rappresentata dall’acquisto di un ETF quotato su Borsa Italiana. Le case che propongono soluzioni passive che replicano l’indice MSCI Canada sono iShares, Lyxor, Deutsche Asset Management (Xtrackers) e UBS (che prevede la possibilità anche di coprirsi dal rischio di cambio).

È sempre necessario verificare l’adeguatezza di uno strumento rispetto al profilo di rischio e agli obiettivi dell’investitore, prima di procedere con l’acquisto. La volatilità del mercato sottostante rende queste soluzioni inadatte ad alcuni investitori. Il timing d’ingresso inoltre è di fondamentale importanza così come la ponderazione del peso all’interno del portafoglio.