Felicità potenziale: N*, r*, Nairu, output gap, un viaggio nel soprannaturale

Immaginate di eliminare dalla vostra vita contrattempi, raffreddori, litigi con il vicino di casa rumoroso, il tempo perso a guardare la pubblicità e quello buttato via a preoccuparvi per una enorme quantità di cose su cui potete fare poco o nulla. Immaginate poi di applicare i principi e le tecniche delle religioni secolarizzate del potenziale umano, dalla scuola del pensiero positivo a quella dell’Esalen Institute, per portare al limite ultimo la vostra autorealizzazione. Otterrete così il migliore dei mondi possibili, ovvero la vostra felicità potenziale.

La differenza tra questa e la vostra felicità o infelicità effettiva sarà l’happiness gap e sulla riduzione di questo gap imposterete tutta la vostra vita, ponendovi obiettivi di breve, medio e lungo termine. Questi obiettivi saranno concordati con il vostro consulente spirituale e monitorati costantemente dalla Asl, dal ministero della salute mentale e dall’Organizzazione mondiale della sanità. Questa idea della vita a metà strada tra l’utopico e il distopico, tra la scienza e l’esoterismo non è alla fine così distante da quella del mainstream economico dei nostri anni. Il Pil potenziale, quello che si otterrebbe con l’utilizzo pieno ma non inflazionistico dei fattori (uomini, macchine, tecniche) è come la felicità potenziale. Che vi sia, come diceva Metastasio, ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa.

Paul Krugman ha pubblicato una nota sul New York Times il 30 settembre scorso (The Economic Future Isn’t What It used to Be) in cui fa varie ipotesi su quello che può ancora essere salvato del concetto di Pil potenziale e conclude che molto probabilmente è semplicemente da rottamare. E cita l’esempio della Grecia, per la quale il Fondo Monetario ha continuato a calcolare un Pil potenziale in crescita dopo il crollo del paese salvo resettarlo drasticamente più in basso quest’anno. Il problema è che la modellizzazione crescente dell’analisi economica ha portato a una proliferazione di entità soprannaturali che crediamo (o facciamo finta di credere) che esistano ma che nessuno vedrà mai in faccia. E queste entità degne dell’angelologia iranica e gnostica governano i modelli econometrici, le scelte di policy e, alla fine, le nostre vite.

Queste entità, tutte tra loro imparentate, sono il Pil potenziale, l’output gap (la differenza tra Pil potenziale e Pil effettivo), il Nairu (il tasso di disoccupazione non inflazionistico), u* (il tasso naturale di disoccupazione), r* (il tasso d’interesse reale neutrale, quello che non alza o abbassa il tasso di crescita del Pil). In Europa, dove è fortissima l’attenzione ai conti pubblici (quasi assente nel dibattito americano) viene venerato il disavanzo strutturale, presente in un universo parallelo privo di cicli economici e che viene calcolato (e in verità negoziato) a porte chiuse tra Bruxelles e i vari paesi dell’Eurozona.

Ora proviamo a immaginare Jay Powell, un laureato in scienze politiche e legge che, nei cinque anni passati alla Fed senza ancora essere governatore ha avuto modo di confrontarsi costantemente con i 300 PhD dell’ufficio studi che parlano tutti la lingua degli angeli e che però, visti i risultati, non sono probabilmente stati molto più bravi di lui, anzi, nel capire quello che succedeva e prevedere il futuro. Da qui, piccola vendetta, il discorso di Powell di fine agosto, quello in cui ha definito i modelli come rotte sempre più perfette e sofisticate tra stelle che non abbiamo la minima idea di dove siano. L’accento, ha aggiunto, andrà messo non più sui modelli (che, come la curva di Phillips, funzionano un giorno sì e tre no) ma sulla gestione dei rischi.

Un approccio, a dire il vero, che hanno sempre teso a privilegiare i governatori, da Greenspan alla Yellen, contro le certezze malfunzionanti dei loro uffici studi. Che cosa significa questo, in pratica, per i mercati? Significa una asimmetria di atteggiamento per cui la Fed deve certamente fare attenzione all’inflazione (e quindi alzare i tassi quando possibile) ma deve ancora di più stare attenta a evitare una nuova recessione. Per seguire questo sentiero stretto la Fed utilizzerà un vasto numero di indicatori e tra questi ci saranno sicuramente anche i mercati finanziari.

Attenzione, però, perché mentre fino a un anno fa i mercati in buona salute erano un obiettivo (la ricchezza prodotta dalle borse si sarebbe poi tradotta in più consumi e più investimenti) oggi che l’economia è forte da sola le borse (come si è visto anche dalle minute appena pubblicate) sono diventate un vincolo asimmetrico. Bisogna certamente evitare che scendano drammaticamente, ma bisogna altrettanto (e forse ancora di più) evitare che salgano più degli utili (e se salgono meno degli utili è ancora meglio).

In pratica, mentre un proseguimento del rialzo azionario sarebbe inutile per l’economia, una sua discesa costituirebbe un ostacolo. Scendere, per dire, da 2800 a 2500 sarebbe un ostacolo gestibile. Scendere invece da 3200 a 2500, magari proprio mentre l’economia sta rallentando di suo, creerebbe problemi più seri. Ecco perché questa Fed, per i mercati, è sia madre sia matrigna. È madre perché cercherà di restare sempre dietro la curva, di alzare cioè in tassi un po’ in ritardo piuttosto che troppo presto e di mantenere in questo modo in vita e in salute l’espansione. È però anche matrigna perché desidera che i multipli azionari si sgonfino.

Ripetiamo una cosa che abbiamo già scritto. Alla fine è meglio avere un’economia che continua a crescere per un periodo più lungo e multipli che si contraggono piuttosto di una borsa surriscaldata che alla fine crolla e mette fine alla crescita economica. Nel primo caso si può sperare che gli utili, continuando a salire, riportino dopo una pausa verso l’alto le quotazioni azionarie, magari verso nuovi massimi. Nel secondo caso la ripresa partirebbe da molto più in basso e prima di vedere un nuovo massimo passerebbe più tempo. Venendo alla tattica, ci sembra di capire che il prezzo per una correzione non drammatica andrà pagato rinunciando a un recupero forte e veloce e tenendoci invece un mercato che rimbalza sul fondo. Per un recupero più convinto bisognerà aspettare le elezioni americane e verificare che l’arretramento repubblicano non sia troppo pronunciato.