Il secolo cinese sulle orme di Deng

A 40 anni dall’avvio della “Politica della Porta Aperta” di Deng Xiaoping, e di un fattivo processo di trasformazione e liberalizzazione economica, la Cina appare come l’ultimo baluardo della globalizzazione di fronte alle spinte protezioniste rappresentate dal Presidente Trump.

Tra gli obiettivi di Deng c’era chiaramente quello di innalzare il reddito pro capite e di riportare il colosso cinese nello scacchiere mondiale in una posizione di primo piano.

Portare metà della popolazione oltre la soglia di povertà, garantendo un aggancio con i Paesi sviluppati, era una grande scommessa, soprattutto attraverso un’economia “socialista di mercato”. Ora siamo di fronte a una superpotenza stabile e forte di un livello di riserve internazionale in valuta pari alla metà di quelle mondiali.

Dagli anni ’90 poi l’enfasi sul sistema bancario e finanziario internazionale ha visto nascere le Borse Valori e imporre un passo accelerato all’accreditamento dello yuan rembimbi tra le divise di conto nazionale, un tassello cruciale per completare un puzzle visionario che nella realizzazione della banca multilaterale AIIB (Asian Infrastructure Investmente Bank) ha chiuso un circolo virtuoso dello sviluppo del modello cinese lasciando a Xi Jinping un’eredità preziosa.

Per chi conosce questa storia a fondo comprende molto bene come Trump possa limitarsi a proclami anche urlati ma che nei fatti rischia molto con una Cina così ben posizionata e solida. E l’offerta cinese per acquistare sino a un controvalore di 70 miliardi di dollari Usa in beni agricoli e forniture energetiche statunitensi per arginare i dazi, dimostra una buona volontà di fondo nell’evitare una guerra commerciale che sarebbe dannosa per tutti.

Ma è sul fronte della tutela dei diritti di proprietà intellettuale (IP) che sta avvenendo lo scontro più duro con la Cina. Scontro che gli Usa ora hanno esteso anche al Canada, comparando la condotta dei due Paesi e ascrivendoli nel famigerato Special 301 Report nel quale esiste una sorta di lista di proscrizione detta Priority Watch List.

Così la decisione di incrementare ulteriormente i dazi contro la Cina per lanciare un’escalation dello scontro commerciale ha già visto una risposta uguale e contraria da parte cinese che sta riportando volatilità sui mercati azionari e penalizzando i mercati emergenti.

Certamente l’obiettivo di Trump è ridurre i 375 mld di dollari Usa di surplus commerciale cinese verso gli Stati Uniti e gli esiti della due giorni degli esperti americani fa ben comprendere che il focus è diretto proprio sui beni alimentari ed energetici.

 

La risposta cinese però non si è fatta attendere. Infatti la logica conclusione è che gli USA devono decidere se imporre nuovi dazi e avviare una guerra sulle IP senza fine, oppure semplicemente esportare di più verso la Cina, come sarebbe naturale. E la disputa sul primato della tecnologia tra Silicon Valley rispetto a Shangai e Shenzen resterà comunque centrale per i prossimi dieci anni e stabilirà se la Cina sarà pronta al grande sorpasso nella classifica del PIL mondiale, dopo il sorpasso del 2015 sui giapponesi.

 

Così anche se il processo di liberalizzazione non si è ancora completato per i cinesi conta il discorso a Davos di Xi, a gennaio di quest’anno, che rimarrà nella storia per il suo impeto nel sostenere il progetto di una economia globale aperta verso il mondo. Uno sviluppo che nel Progetto BRI (Belt and Road Initiative) vede un importante passo avanti da una vecchia concezione di multilateralismo a un nuovo modello che, a metà tra bilateralismo e multilateralismo, favorisca accordi commerciali internazionali, rivendicando un posto adeguato per se e per le altre economie emergenti in consessi come il FMI dove la Cina ha diritto di voto con un peso del 6% rispetto all’effettivo calibro di quel 18% del PIL globale che rappresenta, rispetto allo strapotere americano che manca in questo momento di lungimiranza.

 

D’altronde come dimostrato dall’indice FANG+ del NYSE, dove sono quotate i migliori 10 colossi mondiali dell’innovazione tecnologica, le performance stellari fanno dormire sonni tranquilli all’Amministrazione Trump e attirano investimenti in crescita. Insomma, pare proprio che la disputa con la Cina per adesso l’hanno vinta gli americani anche se la Silicon Valley trema e la disputa finale avrà un esito incerto sul filo sottile della Blockchain.