Non ci sono alibi per le disparità tra uomini e donne

Non ci sono differenze di performance che giustificano la maggior presenza di uomini nella gestione dei fondi. Lo rivela uno studio Morningstar, dal titolo Fund Manager by gender. Through the performance lens, curato da Madison Sargis e Kathryn Wing, uscito nella Giornata mondiale della donna 2018.

Il report ha analizzato tutti i fondi statunitensi azionari e obbligazionari, gestiti attivamente, dal 2003 ad oggi, utilizzando diversi indicatori: la regressione Fama-McBeth (metodo di stima applicato a un set di dati), il test basato sulla costruzione di diversi portafogli e l’event-study (misura l’esperienza tipica di un investitore con team solo maschili, solo femminili o misti su diversi periodi temporali). In tutti i casi, l’ipotesi di base, ossia che gli uomini potessero fare meglio delle donne, è stata smentita. Nella maggior parte dei test non sono emerse significative differenze, ma in alcuni casi i fondi in rosa hanno fatto meglio. Ad esempio, i comparti obbligazionari americani gestiti unicamente da donne hanno reso il 4,23% dal 2003 al 2017, battendo la categoria e, soprattutto, facendo meglio nei periodi di crisi.

Sviluppo al maschile
Nonostante queste prove evidenti delle capacità di generare valore delle donne, sono stati gli uomini a beneficiare maggiormente della crescita dell’industria dei fondi negli ultimi anni. Lo studio Morningstar rivela che il numero di ingressi femminili è stato uguale a quello delle uscite, quindi la loro rappresentatività è scesa all’espandersi del settore.  Dal 1990, i gestori sono passati da 1.500 a un picco di 8.500 per poi decrescere negli ultimi anni. L’85-90% dei nuovi ruoli è stato coperto da uomini, come si può vedere nel grafico qui sotto (il calo recente maschile è dovuto alla contrazione dei posti di lavoro).

Pochi gestori-donna nel mondo
Un precedente studio di Morningstar su 56 paesi rivela che dal 2008 al 2016, la quota rosa di gestori si è mantenuta intorno al 12%, in linea, dunque, con i risultati del mercato americano. Da quell’analisi emergeva anche che le donne hanno più probabilità di trovare impiego in alcuni segmenti in espansione dell’industria del risparmio, primi fra tutti quello delle strategie passive, inclusi gli Etf (Exchange traded fund) e dei fondi sostenibili. Nel dettaglio, una donna ha il 36% di probabilità in più di un uomo di gestire uno strumento indicizzato e il 24% in più nel caso di uno socialmente responsabile.

Questi dati rivelano che le società di gestione possono fare molto di più per chiudere il gap tra uomini e donne al loro interno, coerentemente con il loro impegno per aumentare le quote rosa nelle aziende in cui investono e le recenti decisioni di lanciare prodotti che prendono a riferimento indici di gender diversity.

Attivismo e fondi sostenibili
Morningstar ha contato almeno 35 risoluzioni nel 2017 sul tema della diversità di genere presentate dai fondi a società in portafoglio, di cui solo otto sono arrivate al voto, mentre le altre sono state ritirate a significare la disponibilità delle imprese a risolvere il problema in una modalità soddisfacente per gli azionisti. Big degli investimenti come BlackRock, State Street global advisors e Vanguard sono stati tra coloro che hanno votato a favore di tali provvedimenti.

La diversità di genere è stato il tema più popolare tra i gestori passivi che nel 2017 hanno quotato strumenti sostenibili. Dopo l’esperienza pionieristica di SPDR SSGA Gender diversity index Etf nel marzo 2016 (l’Etf è quotato negli Stati Uniti), sono scesi in campo altri operatori in Europa, tra cui Lyxor, Ubs e iShares. Esistono anche fondi attivi con questo focus, tra cui RobecoSAM global gender equality impact equities, disponibile anche in Italia.

Cecità
Sono dati incoraggianti, che però raccontano solo una parte della storia. L’altra, ben più grande e amara, ce la narra il rapporto The global gender gap del World economic forum, sulle disparità tra uomini e donne in campi come la partecipazione alla forza lavoro, il salario, i ruoli manageriali e di potere. Lo studio rivela che solo il 58% del gap di partecipazione economica tra i due generi a livello globale è stato chiuso, ma ancor più sconcertante è il fatto che il divario sia tornato ad allargarsi negli ultimi due anni e sia oggi al livello peggiore dal 2008. Su 144 paesi, tredici hanno coperto più dell’80% della disparità e 18 meno del 50%. I due terzi sono sotto la media. L’Italia è tra questi e si posiziona al 118esimo posto, tra Cile e Angola. Secondo le stime del World economic forum, di questo passo ci vorranno più di 217 anni per chiudere completamente il gap globale tra uomini e donne nel settore economico.

Cresce il gap globale tra uomini e donne
L’Economic participation and opportunity index è uno dei sotto-indici che formano il Global gender gap index e misura le disuguaglianze nella partecipazione alla forza lavoro, quelle salariali e di reddito, la presenza delle donne in ruoli manageriali e professionali rispetto agli uomini. Gli altri sotto-indici riguardano l’istruzione, la salute, gli incarichi parlamentari e ministeriali. Se mettiamo insieme tutte le componenti, risulta che a livello mondiale il gap complessivo da coprire per arrivare alla totale parità è del 32%, in leggero aumento rispetto al 2016 (31,7%). Nel 2017, il divario globale è cresciuto in 82 paesi contro appena 60 in cui è sceso.

Chi resta indietro in Europa
L’Europa occidentale è la regione dove le disuguaglianze sono mediamente più basse (25%), tuttavia è anche quella dove ci sono grandi differenze tra le nazioni. Islanda, Norvegia, Finlandia e Svezia progrediscono verso l’eguaglianza, mentre Italia, Grecia, Cipro e Malta hanno ancora un gap superiore al 30%. L’anno scorso, nel Belpaese si è allargato il divario negli stipendi tra i generi ed è sceso il numero di donne con incarichi ministeriali, generando un ampliamento delle disparità per la prima volta dal 2014.

Un conto salato
Secondo il World economic forum, la ragione della crescita del gender gap a livello globale è nel prolungato periodo di stagnazione, che ha determinato un calo dell’occupazione per tutti, ma in modo più accentuato per le donne. Per contro, il reddito da lavoro è aumentato, tuttavia gli uomini ne hanno tratto maggior beneficio. Il triste quadro è completato dal fatto che solo il 22% delle posizioni manageriali è in mano al gentil sesso e il trend non è a favore di quest’ultimo. Insomma, i dati del World economic forum fotografano un mondo che sta tornando indietro anziché andare avanti a dispetto di tutti gli studi e le ricerche sul valore aggiunto della diversità di genere nei processi decisionali e nella riduzione dei pregiudizi.