Una mattonata sul portafoglio

Se all’inizio del 2000 aveste deciso di investire sull’immobiliare 3 delle peggiori nazioni al mondo dove avreste potuto farlo sarebbe stato il Giappone ma anche l’Italia e la Grecia. In termini di potere reale d’acquisto avreste perso solo soldi mentre invece le nazioni dovreste fare il miglior affare sono Nuova Zelanda, Australia ma anche Canada. La famosa “casetta in Canadà” vi avrebbe fatto triplicarle il capitale iniziale “anche se piccolina con vasche, pesciolini e tanti fiori di lillà” come recitava una celebre canzone.

Sono stato ospite come relatore a una conferenza sui “PIR e gli immobili” presso Borsa Italiana a Piazza Affari ai “RE ITALY CONVENTION DAYS” dove tutti i principali operatori del settore immobiliare e finanziario si sono dati come convegno e ho potuto esprime il pensiero di un consulente finanziario indipendente.
E sul perché seppure fortemente  richiesta dalle società immobiliari, l’estensione della normativa sui PIR con la legge di Bilancio 2018 (nella prima versione erano stati esclusi), non ha provocato al momento nessuna particolare corrente di acquisti sui titoli del settore come indica l’indice Ftse Italia Real Estate in calo del 8% da inizio anno.

Sui Piani individuali di Risparmio ho avuto di esprimere tutte le perplessità possibili perché nonostante il buono proposito la normativa partorita sembra essere stata disegnata per fare soprattutto un bellissimo regalo all’industria bancaria e del risparmio gestito.

In “Harry Potter e la Pietra filosofale” l’ingrediente magico che consente l’impossibile come prolungare la vita all’infinito è il sangue di unicorno (ma c’è un prezzo da pagare e non di poco conto), in Italia basta un po’ meno: l’esenzione fiscale e usare la parolina magica. Niente tasse.

Come è, infatti, noto, se si sottoscrivono i PIR  e si tengono fermi poi i capitali per almeno 5 anni si ottiene il vantaggio della detassazione per sé e per i propri eredi. Un 26% di tassazione evitata…nel caso di capital gain.

Peccato che molti risparmiatori scopriranno probabilmente che per ottenere questo vantaggio dovranno pagare un costo superiore al beneficio se si calcola che mediamente con un costo anno di un fondo Pir fra il 2 e il 3% annuo il capitale iniziale viene super tartassato dai costi. E su 5 anni di orizzonte temporale bisognerebbe con una simile zavorra ottenere un rendimento di oltre il 32% netto affinchè il beneficio fiscale (esenzione dalla tassa sul capital gain) compensi i costi di gestione annui. Discorso diverso vale naturalmente per gli ETF Pir complaint che almeno sono dichiaratamente passivi (con vantaggi e svantaggi connessi) e costano molto meno.

E dopo 5 anni Piazza Affari che è fra i listini più volatili di Europa può ritrovarsi da 100 a 150 ma anche da 100 a 70 come è accaduto nella realtà negli ultimi 10 anni (e in questo caso alla beffa delle perdite subite si assomma quello del 2% annuo pagato).

C’è certo una bella intenzione che non discuto sui PIR che è quella di favorire l’investimento nell’economia reale e invogliare il piccolo risparmiatore a investire sull’azionario.

Ma si è persa purtroppo l’opportunità di fare seria educazione finanziaria, aiutare il risparmiatore a diversificare (come in Francia hanno concepito i Pea) e sviluppare la consulenza finanziaria su base indipendente per fare un grandioso regalo a banche e reti per fare raccolta e commissioni a go-go. Bank first!

L’accoppiata Pir + Titoli immobiliari si comprenderà quindi che non è qualcosa che mi eccita particolarmente.

Se già uno dei difetti dei PIR all’italiana (l’equivalente dei Pea francesi è molto più pro-risparmiatore) è già quello di canalizzare il risparmio degli italiani verso l’Italia in modo forzoso e con un meccanismo rigido tutto a favore del risparmio gestito (e vi risparmio raccontare gli ostacoli di ogni tipo che un risparmiatore fai da te incontra se vuole farsi un Pir fai da te con la maggior parte delle banche che fanno di tutto per ostacolare questo percorso) nel caso dell’investimento immobiliare dentro i PIR un risparmiatore rischia la concentrazione al quadrato.

Preferire in modo quasi “nazionalista” le attività finanziarie del proprio Paese, è qualcosa di osservato a livello accademico finanziario da diversi decenni e che passa sotto il nome di “home bias”.
Dove bias sta per distorsione, la spiccata propensione degli operatori, specialmente non professionali, a detenere in maniera “esagerata” attività finanziarie relative al Paese in cui vivono.

E gli italiani sugli immobili in Italia….non si può dire che già non sono investiti. Certo magari con l’investimento indiretto tramite immobili diversificano il portafoglio e diventano soci in quote parti di gallerie di centri commerciali e uffici direzionali ma il bene principale e l’investimento n.1 degli italiani è la casa. E dagli anni ’70 siamo una delle nazioni con il più alto tasso di proprietà di immobili.

Le attività reali rappresentano l’87 per cento del patrimonio lordo delle famiglie italiane secondo l’indagine sui bilanci delle famiglie italiane della Banca d’Italia.

Durante la conferenza Carl Puri Negri, presidente di Aedes Siiq, e fra i protagonisti indiscussi italiani del settore in questi lustri, ha giustamente sottolineato le caratteristiche peculiari delle Società di Investimento Immobiliare Quotate (Siiq), i Reits all’italiana.

Almeno 80% dell’attivo patrimoniale e dei componenti attivi del conto economico devono essere costituiti dagli immobili adibiti a locazione e dai relativi ricavi e quindi queste società dovrebbero garantire al risparmiatore dei flussi (leggi cedole) interessanti e visibili come flussi su investimenti nel settore immobiliare “retail” (gallerie commerciali o negozi) o uffici e centri direzionali.
Una diversificazione certo potenzialmente interessante ma un risparmiatore italiano mediamente ha bisogno di qualcosa di più …diversificato  forse se vogliamo non sommare all’”home bias” anche l’”house bias”.

Il grafico sotto evidenzia dal 2010 come è andato il settore immobiliare italiano (indice Ftse Real Estate e Comit Immobiliare) confrontato con 2 fondi passivi (ETF) che replicano un paniere di titoli immobiliari europei e mondiali.

E il confronto è impietoso. Chi avesse puntato sul mattone tricolore avrebbe mediamente perso il 30% mentre chi avrebbe diversificato su un paniere molto più ampio a livello europeo o globale avrebbe addirittura triplicato il proprio capitale. Numeri che fanno riflettere e spiegano come auspicato come uno dei possibili scenari possibili da Carlo Puri Negri la necessità per le società del settore italiane di crescere dimensionalmente (cosa difficile) ma anche geograficamente. E non a caso il campione italiano del settore, Beni Stabili, è fra i titoli del settore che sono stati maggiormente premiati dal mercato dopo soprattutto l’annuncio qualche settimana della proposta di fusione con la controllante Foncière des Régions per costruire un peso massimo del settore fra Milano e Parigi.

Le società immobiliari poi ad eccezione soprattutto di Beni Stabili non sono mai state presenti in modo significativo nei panieri dei fondi soprattutto italiani che preferiscono operare a benchmark e non puntare tanto sulle small cap. E questo spiega una certa freddezza anche perché il settore immobiliare se una volta poteva ritenersi qualcosa di decorrelato rispetto all’andamento degli indici borsistici ha assunto con il tempo un andamento più volatile e rischioso.

Inutile nascondere poi che negli ultimi lustri l’immobiliare ha dato poco soddisfazioni agli italiani nella forma “finanziarizzata” tramite azioni o quote di fondi immobiliari e l’andamento fortemente deludente dei fondi immobiliari quotati è qualcosa che ancora brucia (ci sono risparmiatori che ancora non sanno se e come riavranno anche solo una parte del capitale investito) come i numerosi errori che sono stati commessi (e continuano a essere commessi in Italia ha ricordato Puri Negri) sul fronte della regolamentazione del settore da parte di chi norma questo settore comunque fra i più importanti dell’economia italiana.

E c’è da lavorare molto da parte di tutti per riconquistare la fiducia perduta.

A cura di Salvatore Gaziano, strategist di www.soldiexpert.com